DA IERI A DOMANI : Governo tecnico tra critiche e aspettative

15 Nov

 

Il caimano rassegna le dimissioni. Festa in piazza del Quirinale e caroselli per il centro della capitale. Felicità di anziani, giovani, perfino bambini, finalmente liberi da un grottesco massone a cui è stato permesso di manipolare la mente degli italiani <<facendo emergere i loro peggiori istinti>> (cit. Eugenio Scalfari) soprattutto grazie al possesso delle tre più importanti reti televisive commerciali caratterizzate esclusivamente da programmi e telegiornali spazzatura, a cui è stato permesso di ridicolizzare le istituzioni pubbliche italiane nominando le sue concubine ministri, consiglieri regionali, deputati e così via, dando dei comunisti ai giudici della Corte Costituzionale, al Presidente della Repubblica, ai giornali che si azzardavano a dissentire dalle sue “idee”, a cui è stato permesso di far ridere l’Europa e il mondo intero di noi italiani, capaci di vivere per 17 anni sotto un regime (il primo accostamento di Mr. B. a Mussolini è opera del suo grande alleato Umberto Bossi)  che ci ha accompagnato nel baratro senza neanche doverlo mascherare, ma apertamente, platealmente e volgarmente. Tutto ciò è successo ieri, ieri era il giorno di festeggiare per questa liberazione, oggi è il tempo di riflettere, per molti di cominciare a pensare nel faticosissimo intento di eliminare il berlusconismo che li spinge ancora a guardare cose come il GF, Barbara D’Urso e Minzolingua. E allora cominciamo.

Dunque, governo tecnico, Mario Monti (professore di economia, rettore e infine preside dell’università Boccini di Milano, commissario europeo dal 1994 al 2004, dal 2010 presidente Europeo della Commissione Trilaterale, europeista convinto) incaricato dal Presidente Napolitano di formare il nuovo esecutivo. Da qui le critiche. Chiaramente l’opinione pubblica è consapevole di dover notevolmente stringere la cintura sotto un governo Monti che adotterà imponenti misure drastiche (questo spiega la prevedibile mossa della Lega di passare all’opposizione), d’altronde per risanare un assai pesante debito pubblico che rischia di portarci alla rovina assoluta è necessario aprire il portafogli. Ma le critiche puntano il dito soprattutto contro la presunta sconfitta della politica e della democrazia di fronte ad un governo tecnico non eletto dal popolo. Come se fino ad oggi la politica abbia vinto. La repubblica parlamentare italiana, il bel paese là dove ‘l sì suona ha già perso con la caduta della scuola dei gladiatori a Pompei, con Nicole Minetti e il Trota consiglieri regionali in Lombardia, con volgari barzellette raccontate al termine di incontri istituzionali, con la derisione nei nostri confronti dei maggiori vertici internazionali, con Mara Carfagna (che fino a qualche mese prima ballava mezza nuda davanti a individui viscidi con la bava alla bocca) ministro delle pari opportunità (antitesi madornale che metterebbe in crisi Hegel se l’avesse vissuta) e Maria Stella Gelmini ministro della pubblica istruzione, dell’università e della ricerca, con gli Scilipoti, con l’intromissione della politica nella televisione pubblica, ma soprattutto con il lodo Alfano costituzionalizzato, con il processo breve, con il processo lungo, con la mafia all’interno dello Stato. Con che coraggio coloro che sono stati complici di tutto ciò ora parlano di sconfitta della democrazia? Inoltre, se si vuole porre la questione su un piano più tecnico, l’attuale legge elettorale è assolutamente antidemocratica. Essa infatti, prevedendo un premio di maggioranza di 340 seggi alla Camera per la coalizione che abbia ottenuto la maggioranza relativa dei voti (ricordiamo che alla Camera si ha un totale di 630 deputati), fa in modo che lo scenario parlamentare non rispecchi assolutamente quello politico, la volontà dei cittadini. Le ultime elezioni possono quindi essere definite come limpida espressione di democrazia? Inoltre i parlamentari che popolano le due Camere e che guadagnano in media € 17.000,00 al mese, esclusi tutte le varie aggiuntive e tutti gli enormi benefici e privilegi, quali la pensione vitalizia al termine della prima legislatura, costoro non sono stati scelti dagli italiani, ma nominati dai partiti. Interessante forma di democrazia. A questo punto, in un momento estremamente delicato come questo, caratterizzato da una crisi economica che il mondo occidentale non ha mai visto, un governo tecnico all’interno del quale siano presenti personalità competenti, serie e austere, non penso sia il peggiore dei mali, anzi. Un governo tecnico non teme di perdere le prossime elezioni istituendo una patrimoniale e facendo finalmente pagare chi non ha mai pagato e non solo i soliti noti, come ha subdolamente fatto il governo B. Un governo tecnico che finalmente si distacchi dalla malavita, dalle tangenti, dalle mazzette, dai favori, dai festini, dalla mediocrità, dall’indecenza, dalla retorica, dal populismo. Ovviamente potremo rimangiarci tutto da qui a poco, ma ora, all’inizio del percorso, le polemiche mi paiono sterili e senza fondamento, dal momento che i sacrifici li avremmo dovuti fare in qualsiasi caso, dato che purtroppo la ricchezza ancora non cresce sugli alberi. Staremo a vedere.

Lavinia Rozzo

Il partito delle banane

14 Giu

Ok, anche questa sfida è stata superata con successo, abbiamo avuto l’esempio della massima espressione della Democrazia, il popolo che in massa si reca ad esprimere la propria idea su questioni fondamentali per il futuro di questo paese. Eppure mi sembra che manchi qualcosa, una cosa piccolissima ma comunque fondamentale! E’ la stessa sensazione che prova un artista quando è ad un passo dal finire un quadro, ma non riesce a smettere di spargere colore sulla tela, come se fosse alla continua ricerca della perfezione, e sente che è lì ad un passo, ma per quanto lui desideri tendere ad essa, questa continua a sfuggirgli dalle mani.  Il Partito Democratico dovrebbe essere più combattivo che mai, visto che prima le elezioni e poi il referendum, stanno gentilmente accompagnando il  PdL alla porta. Invece no, continuiamo a sentire ora le solite frasi di repertorio che ci vengono propinate da anni. “Ed ora dimissioni!!”. Chiedo scusa preventivamente se io, povero mortale ignorante di politica, non riesco a comprendere le sottili strategie del Partito Democratico, espressione massima di menti eccelse, figlie di Togliatti e Berlinguer. Ma non riesco proprio a capire come possa essere una strategia vincente il ripetere fino alla nausea un concetto che puntualmente viene sbeffeggiato da tutto il paese. Ogni volta e sottolineo ogni volta, che un bastone si mette fra le ruote del governo, il Partito Democratico inneggia alle dimissioni. Ma basare la propria politica sui fatti non ci piace? Quale sarebbe lo scenario politico se si dovesse andare al voto domani? PD-IDV-SEL da una parte, PDL-Lega dall’altra ed al centro Futuro e libertà – UDC. La sinistra che c’è oggi non è pronta a prendere il posto del dittatore, si rischierebbe solo di perdere e ridare quindi ossigeno a Silvio. Quindi dice bene Di Pietro quando afferma che il centro sinistra non deve chiedere le dimissioni di Berlusconi. Sarebbe un errore da chi fa politica la domenica mattina a Porta Portese…

F.B.

Buon 25 Aprile Ignazio!

24 Apr

Cosa significa il 25 Aprile per gli italiani? Probabilmente è  per tutti solo una giornata di pausa dalla quotidianità, come la festa dei lavoratori. Dovrebbe significare molto di più. Il 25 Aprile 1945 è stato scelto dai nostri Padri Costituenti come giorno simbolo della vittoria della democrazia sulla dittatura, della libertà sull’oppressione. Ma purtroppo quando un concetto viene rinchiuso in una data, ce ne ricordiamo solo quando il calendario segna quel preciso giorno. Il resto dell’anno ascoltiamo in maniera distratta il respiro affannato di questo paese, un respiro irregolare e stanco che si affievolisce sotto gli attacchi di chi questa Italia la vorrebbe diversa, oserei dire nostalgica. Quando propongono di abolire il reato di ricostituzione del partito fascista, buttiamo un occhio al telegiornale e con la mente facciamo un salto avanti di qualche anno, immaginando la nostra vita diversa. Poi torniamo al presente e ce ne dimentichiamo. Perchè se noi italiani siamo bravi in una cosa è proprio nel dimenticare. Nulla ci riesce meglio, forse solo l’avere il piede in due staffe.. Quando pensiamo al 25 Aprile pensiamo ad una data lontana, ad eventi remoti che non potranno nuovamente accadere. Ma quegli eventi possono avere mutevoli forme. Se ad un giornalista viene impedito di pubblicare un articolo siamo davanti alla dittatura. Quando si discrimina chi ha la pelle di colore diverso, siamo davanti alla dittatura. Se una persona governa un paese piegando tutto e tutti per arrivare ai suoi scopi, siamo davanti alla dittatura. Una dittatura vigliacca perchè non vuole appellarsi con il suo vero nome, ma pur sempre dittatura. Quindi a cosa serve festeggiare il 25 Aprile? Probabilmente per auto-iniettarci un senso di sicurezza mentre sotto i nostri piedi tante piccole formiche erodono il terreno per far tornare alla luce orrori passati. Ma nei nostri cuori sappiamo la verità e per questo dobbiamo aspirare tutti ad un nuovo 25 Aprile, il più vicino possibile. Intanto io urlo “ buon 25 Aprile Ignazio!!!”

F.B.

I ragazzi intelligenti non frequentano la scuola pubblica comunista.

18 Apr

Mi è sempre stato imposto, nei temi del compito in classe di italiano, di scrivere rigorosamente in terza persona sia nei saggi brevi che negli articoli di giornale. L’ho sempre trovato incredibilmente riduttivo. Come si può parlare in terza persona quando si trattano temi sulla vita (politica, sentimentale, quotidiana, civile) dell’uomo? Siamo “noi”, gli uomini, a credere negli ideali, ad avere le nostre speranze e le nostre certezze. Così, mentre scrivevo, io continuavo a infilare la prima persona un po’ ovunque, e poco mi importava se il voto sarebbe stato abbassato.
Con questo piccolo scorcio che poco interesserà ai lettori, introduco le due premesse di questo articolo, e cioè: l’argomento è la scuola, e il tema sarà trattato in prima persona.

Il personaggio in apertura del mio discorso è quanto mai prevedibile: Silvio Berlusconi ci ha quasi annoiato con la sua presenza quotidiana nelle nostre vite.
Ma andiamo al dunque, e anche questo “dunque” suppongo possa essere per voi svegli lettori d’immediata intuizione: il recente attacco che il nostro coltissimo premier ha rivolto alla scuola pubblica, presentandola come veicolo di valori contrari a quelli della famiglia.
Proprio perché ritengo che del (ahimè!) nostro Presidente del Consiglio è stata fatto ormai un insopportabile e fin troppo scontato personaggio, gli affibbierò per una volta la parte della comparsa e passerò a trattare della vittima, di colei che è stata attaccata, di quella che è stata per molti una seconda casa e una palestra di vita, odiata e amata un po’ da tutti: lei, la vecchia, ma sempre giovane Scuola Pubblica. La “nostra” Scuola Pubblica.
Io ho frequentato una scuola pubblica. Non sono cresciuta con una cultura superiore agli studenti della scuola privata, ma non posso dire neanche di avere una cultura inferiore. Ritengo che la mia preparazione sia stata abbastanza adeguata, anche se non brillante. Ho avuto professori di sinistra, alcuni incredibilmente oggettivi e imparziali, altri fin troppo di parte. Ho perso giorni di scuola per via delle varie occupazioni-autogestioni-cogestioni in cui gli studenti amano improvvisarsi rivoluzionari e portatori di ideali estremi. Ho studiato in aule con muri scritti e scrostati, passato i momenti di “bisogno” in bagni senza carta igienica, specchio, e, qualche volta, porte.
La scuola pubblica non è perfetta.
Si tiene in piedi con quella improvvisazione tutta italiana, a metà tra il ridicolo e l’ammirevole, il mediocre e l’esemplare.
Eppure, nonostante l’evidente e vergognosa carenza di soldi, i professori “comunisti” e “poco competenti” di cui si parla tanto, i ragazzi escono con una preparazione oggettivamente equiparabile a quella di qualsiasi studente di una scuola privata.
Mi chiedo quali sarebbero i risultati se venisse presa più seriamente e non venissero fatti tutti questi tagli.
Tornando alla nostra comparsa, il nostro amatissimo e acclamatissimo Presidente, ci sono state rese note queste parole del suo discorso: “libertà vuol dire avere la possibilità di educare i propri figli liberamente, e liberamente vuol dire non essere costretti a mandarli in una scuola di Stato dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare principi che sono il contrario di quelli dei genitori”.
Tralasciando la prima frase, per cui mi verrebbe da fare una battuta sul Bunga Bunga che vi lascerò intuire (o magari no, pazienza), nessuno costringe a mandare gli studenti nelle scuole di Stato, nessuno nelle scuole di stato inculca principi, e soprattutto se i genitori non fossero d’accordo con i principi insegnati nelle scuole di Stato, non ci manderebbero i figli.

Ma soprattutto c’è qualcosa che ci tengo a sottolineare.
E’ vero che la scuola pubblica si tiene ancora in piedi con grande dignità, ma tutti questi tagli comportano comunque delle conseguenze, conseguenze sull’istruzione, e quindi sulla formazione dello studente. Posso immaginare le famiglie un poco più agiate mandare i propri figli nelle scuole private, anteponendo su ogni ideale la loro formazione completa. Ma chi rimarrà allora nelle scuole pubbliche? Gli studenti provenienti da famiglie meno agiate. In sostanza: l’istruzione migliore deve essere data al più ricco.
Almeno questo sembra il piano del Governo: trovo decisamente poco logico finanziare una scuola che già si autofinanzia in abbondanza, e privare di soldi una scuola che non si autofinanzia.
Se buttassi nel mezzo di questo monologo una frase del tipo “La scuola pubblica è in realtà scomoda al Governo, ecco perché cercano di demolirla in ogni modo!” probabilmente sembrerebbe una poco credibile propaganda da teoria complottistica.
Ma a ben pensarci, perché darsi così tanto da fare per screditarla? Se i motivi fossero semplicemente economici non ci sarebbero tante manfrine al riguardo da parte del Re del Bunga Bunga. E invece ecco che viene detto che la scuola pubblica è “comunista”, che non insegna valori conformi al volere dei genitori.
Come ho detto all’inizio di questo articolo, non ritengo di avere avuto una preparazione superiore (o inferiore) a uno studente della scuola privata.
Però se penso davvero all’insegnamento che ho ricevuto dalla Scuola Pubblica, c’è una cosa in particolare che mi viene subito in mente: il dibattito.
Alla Scuola Pubblica non mi sono stati inculcati principi comunisti. E’ vero, dire che la Scuola Pubblica è imparziale, sul piano politico, equivale a mentire esattamente come ha mentito il Presidente del Consiglio. Ma la Scuola Pubblica non è di sinistra perché gli studenti vi vengono indottrinati, semplicemente la Scuola Pubblica è di sinistra perché vi aderiscono famiglie di sinistra. Ho conosciuto molta gente di destra, studenti della scuola pubblica che non hanno cambiato idea riguardo al proprio pensiero politico, ma anzi forse l’hanno rafforzato. E questo è avvenuto proprio grazie all’insegnamento di cui parlavo prima, e cioè il dibattito, signori.
Il dibattito che si crea nelle ore di lezione perse per l’assemblea studentesca o per il collettivo di classe. Il dibattito nelle ore di intervallo o durante il cambio degli insegnanti o durante le occupazioni e le autogestioni. Tanta gente, ricordo, non era d’accordo con quelle occupazioni. Ma ha imparato a dirlo, ha imparato ad arricchire il proprio ragionamento, ha imparato a riflettere in modo più profondo e a formulare in maniera il più incontrobattibile possibile il proprio pensiero.
Allora, ripensando a tanto dibattito e al benessere che ne ha ricavato la nostra dimensione interiore, alla vivacità delle conversazioni e soprattutto alla costante informazione sulla vita politica che veniva fatta, mi è automatico, pensando ad un governo che fa di tutto per ostacolare l’informazione, pensando ad un Presidente del Consiglio che spera di fregare l’italiano medio dicendo che “libertà equivale ad educare i propri figli liberamente”, vedere un’istituzione come la scuola pubblica “pericolosa”.
Fantascienza? Non sono qui per indottrinare nessuno, a prova della falsità di quanto si è detto. E se volete controbattere quanto dico, ne trarremo solo che un beneficio, tutti quanti.
Come mi è stato insegnato alla scuola pubblica.

Marta Sicigliano

La rivolta degli Eschimesi

16 Apr

Il Polo Nord deve contenere un magnete particolare capace di attrarre verso sé individui tanto più spregevoli quanto più provenienti da sud. Lo avevamo sempre sospettato, ma finalmente sono state le esplicite parole di Boris Bigasca, ospite di Santoro ad Annozero il 14 aprile, a liberarci da ogni dubbio. E’ stata un po’ come una seconda rivoluzione copernicana, una nuova teoria della relatività, un’altra scoperta della psicanalisi, insomma un qualcosa che manda in pensione Nichi Vendola e altri ottusi bigotti allo stesso modo in cui vi ci sono stati mandati Aristotele, Tolomeo e i vari papi loro seguaci. Ma andiamo per ordine.

Chi è il nuovo Freud? Trattasi del figlio del leader della Lega ticinese Giuliano Bigasca, un Trota dei ricchi, lo potremmo perfino definire Il Salmone. Il suo discorso è stato chiaro e limpido come le acque dei torrenti svizzeri, di certo non come quelle del melmoso Po: ha affermato che non è possibile che sempre più frontalieri arrivino dall’Italia a rubare il lavoro agli Svizzeri. Fino a qui nulla di strano, la cantilena la conosciamo bene tanto noi quanto Roberto Cota, il governatore leghista della regione Piemonte presente in studio, il quale durante la pausa pubblicitaria non ha esitato ad abbracciare il caro Salmone, probabilmente non comprendendo che questa volta ce l’avevano proprio con noi. La novità sta nel fatto che Bigasca Junior ha elaborato una vera e propria teoria sull’emigrazione, di fronte alla quale non possiamo assolutamente rimanere impassibili: <<Ognuno tenta di andare verso nord, è normale! I Libici vogliono venire in Italia, gli Italiani in Svizzera, gli Svizzeri in Germania e così via, sempre più a nord, fino ad arrivare agli Eschimesi che poi, ovviamente, poverini, non potranno andare da nessuna parte!>> Si tratta dunque di una sorta di acchiapparella, una scalata dal basso dell’inferno del Sud fino all’apice della montagna purgatoriale che, a quanto rivela Bigasca, è situata nel circolo polare artico, un’ondata di invasioni barbariche a catena. E alla fine chi ci andrà a rimettere? Logicamente i poveri Eschimesi, che, come se non bastasse, devono anche fare i conti con lo scioglimento dei ghiacciai: è proprio vero che i guai non arrivano mai da soli. Ed è qui che entra in gioco la solidarietà tra gli uomini, quella con la S maiuscola: ognuno se ne stia a casa sua, nella propria caverna, senza disturbare gli inquilini del piano di sopra. E’ questa la vera libertà, è finalmente venuto il tempo di poter circolare liberi nel proprio cortile senza il rischio di imbattersi in individui dal colore della pelle più scuro, tanto più inferiori quanto più si trova in basso sul planisfero il loro luogo di provenienza.

Come rispondere dunque alle migliaia di nordafricani che sono disposti a tentare una mortale traversata del Mediterraneo e a passare giornate in condizioni disumane a Lampedusa pur di fuggire da una terra che dona loro solamente fame, miseria e atrocità? Cosa dire a chi si appellava alla solidarietà del genere omano, ora che questa si basa su principi assai diversi dalle obsolete umanità, fratellanza e uguaglianza? Cosa ripetere a chi sperava in una vita meno orribile e dolorosa di quella offerta loro dai propri paesi di provenienza? Niente. La natura ha deciso così. Vi conviene attendere la prossima inversione dei poli magnetici terrestri.

Lavinia Rozzo

L’Aquila due anni dopo

6 Apr

Due anni dopo il terremoto che sconvolse l’Abruzzo, i cittadini che ora risiedono nelle abitazioni del progetto C.A.S.E. (complessi antisismici sostenibili ecocompatibili) lamentano una serie di disservizi e di vere e proprie violenze psicologiche alle quali devono sottostare. Se ci si assenta per più di otto giorni dalla propria abitazione bisogna comunicarlo ai responsabili ,se per più di tre mesi si rischia che questa possa essere assegnata ad altri. Se muore un componente della famiglia si viene spostati in una casa più piccola. Inoltre questi centri residenziali sono praticamente isolati dai paesi limitrofi. E’ questo il modo migliore per gestire quella che è stata un’emergenza? Non è che dopo due anni si sono dimenticati dei cittadini aquilani? Le persone sistemate presso gli alberghi quando avranno una sistemazione migliore? Per non parlare delle ingenti somme di denaro pubblico sprecate, sulle quali è in corso un’inchiesta della magistratura.

Questo è il video realizzato dal Fatto Quotidiano:  

 

F.B.